Il ritorno della patrimoniale

Simone del Rosso
5 min readDec 1, 2020

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Alcuni deputati di Leu e del Pd hanno presentato un emendamento alla manovra finanziaria 2021: cancellazione dell’IMU e dell’imposta di bollo sui conti correnti e di deposito titoli, accompagnata dall’introduzione di un’imposta progressiva sui grandi patrimoni.

Come funzionerebbe la nuova imposta

La proposta è stata attaccata da più fronti. Il centrodestra è insorto contro lo spettro della “patrimoniale”, mentre Partito Democratico e M5S ne hanno tempestivamente preso le distanze. Ma come funzionerebbe questa nuova imposta? E chi colpirebbe?

Andiamo con ordine. L’imposta si applicherebbe sui patrimoni la cui base imponibile (il valore su cui viene applicata l’aliquota per calcolare l’imposta) è costituita da una ricchezza superiore a 500 mila euro.

Questa comprenderebbe sia le attività mobiliari (ad esempio, le azioni detenute), sia le attività immobiliari (ad esempio, la casa), al netto delle passività finanziarie (i debiti finanziari). Si tratterebbe di un’imposta progressiva, il cui ammontare aumenta in modo più che proporzionale rispetto all’imponibile. Per una base imponibile di valore compreso tra 500 mila euro e 1 milione di euro, si applicherebbe un’aliquota del 0,2%.

Quindi, per un imponibile di 500 mila euro, lo Stato incasserebbe mille euro.

Invece, per un imponibile di valore superiore ai 50 milioni di euro, l’aliquota salirebbe al 2%, ovvero oltre 1 milione di euro. La proposta prevede anche che per il 2021 l’aliquota per valori superiori al miliardo salirebbe al 3%.

Le misure del governo spagnolo

La proposta italiana ricorda, quantomeno nei principi, la recente misura fiscale assunta dal governo spagnolo guidato dal socialista Pedro Sanchez. In questo caso, però, si tratta di una manovra fiscale espansiva più organica, la quale prevede un’aliquota IRPEF (l’imposta sui redditi, da non confondere con l’imposta patrimoniale di cui stiamo parlando in questa sede) al 26% su imponibile a 200 mila euro, che sale al 47% per imponibile superiore a 300 mila euro. Inoltre, il governo spagnolo sta valutando un’imposta progressiva sui patrimoni superiori a 1 milione di euro, mentre ha introdotto un’aliquota minima del 15% per le società di investimento immobiliare quotate e ha aumentato l’imposta su dividendi e plusvalenze finanziarie.

I punti deboli della misura italiana

Chiariamolo subito. Parlare di “patrimoniale” è una esagerazione, oltre che una mossa comunicativa degli oppositori. La misura proposta non è paragonabile al “prelievo forzoso ed improvviso” del 6 per mille su tutti i conti correnti bancari del 1992, introdotto senza preavviso dal Governo Amato per fronteggiare la svalutazione della lira sotto attacco speculativo. Sarebbe più corretto parlare di “imposta sui grandi patrimoni”.

Ma entriamo nel merito della proposta e soffermiamoci su alcune criticità.

In primo luogo, la nuova tassa riguarderebbe solo le persone fisiche (comprese le società di persone che non hanno personalità giuridiche, ovvero piccole imprese), escludendo le società di capitale (le imprese più grandi e finanziariamente strutturate).

In secondo luogo, l’introduzione di un’imposta sui grandi patrimoni, se non accompagnata da adeguate misure di contrasto all’evasione fiscale a livello nazionale, e politiche di armonizzazione fiscale eque a livello europeo, rischia di non centrare il bersaglio e potrebbe finire per ridurre il gettito fiscale, anziché incrementarlo.

Nicola Fratoianni, deputato Leu, ha ottimisticamente dichiarato che dall’imposta lo Stato potrebbe ricavare un gettito fiscale aggiuntivo di 18 miliardi di euro.

In ultima istanza, occorre ricordare che la pressione fiscale nel nostro Paese è tra le più alte in Europa e ciò non si riflette in una qualità superiore dei servizi pubblici.

Ecco perché occorre al più presto una riforma fiscale strutturale che consenta una più efficiente distribuzione delle risorse private.

Perché parlare di patrimoniale è una necessità

Un’imposta sui grandi patrimoni non solo è auspicabile per una equa contribuzione ai costi della res publica, ma sarebbe opportuna in una fase in cui abbiamo riscoperto l’importanza dello Stato e del servizio pubblico, dalla sanità ai trasporti, passando per gli ammortizzatori sociali.

Un sistema fiscale più giusto permetterebbe una pre-distribuzione della ricchezza, allocando le risorse raccolte verso gli investimenti pubblici essenziali in istruzione, infrastrutture, ambiente e sanità.

In Italia è più che mai urgente introdurre un’imposta di successione progressiva, in un contesto storico contraddistinto dal blocco dell’ascensore sociale e dalla scarsa mobilità sociale. Oggi, ad esempio, la probabilità di scalare la società è diminuita per i nati tra il 1972 e il 1986, con il 26% mobile verso il basso e solo il 24,9% mobile verso l’alto. E il trend per le ultime generazioni non è incoraggiante.

La pandemia, generando uno shock sia da domanda che da offerta, ha scombussolato un già fragile mercato del lavoro, mentre con la didattica a distanza, tra scuola e università, il digital divide (insieme all’accresciuto gap di opportunità formative e professionali) mette a rischio il futuro di un’intera generazione che non è né ascoltata né rappresentata da una classe dirigente che si troverà a gestire 209 miliardi di euro proprio per la next generation.

La sostenibilità del debito pubblico e il risparmio privato

Infine, non possiamo non far riferimento alla questione del debito pubblico, che ha ormai raggiunto un livello record. Grazie alle operazioni della Bce finalizzate a mantenere bassi i tassi di interesse sui nostri titoli, l’Italia sta beneficiando di un vero e proprio scudo che le garantisce, almeno per ora, la sostenibilità dell’indebitamento.

Prima o poi con il debito dovremo fare i conti. Certo, sarebbe bello poterlo cancellare con una semplice spunta, ma, per il momento, sarebbe più opportuno tenere i piedi per terra.

Per ridurre il debito pubblico abbiamo diverse strade: la crescita del Pil, l’introduzione di una patrimoniale, la ristrutturazione del debito.

La prima opzione è la più auspicabile, ma da sola potrebbe non bastare. Potrebbero volerci anni per una ripresa economica ai livelli pre-Covid.

La ristrutturazione del debito è impraticabile perché, a differenza della patrimoniale, non colpirebbe direttamente i patrimoni, ma attaccherebbe i bilanci delle banche italiane che detengono una fetta importante dei nostri titoli di stato.

Allora, forse, non possiamo non considerare l’introduzione di una vera e propria patrimoniale progressiva, facendo in modo che chi ha di più contribuisca alla ripartenza del nostro Paese, fanalino di coda dell’UE già da prima della pandemia in termini di crescita, produttività e indebitamento. Un’ultima osservazione da fare riguarda una delle più grandi risorse del nostro Paese: il risparmio privato.

Alla luce dei fondi europei in arrivo, occorre mettere in piedi un grande piano di investimenti pubblici e privati, volano per l’innovazione tecnologica e la trasformazione digitale delle imprese strategiche del nostro Paese, anche tramite l’intermediazione di una struttura finanziaria e manageriale pubblica come Cassa Depositi e Prestiti.

Il Paese è chiamato ad un cambiamento epocale. Non possiamo sprecare questa chance senza precedenti. Abbiamo bisogno di visione, competenza e tanto, tantissimo, coraggio.

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